Mincio, gli Scaligeri e i Gonzaga - Variant

Nel tempo della mia vita terrena, fui Ludovico II Gonzaga, il secondo marchese di Mantova. Se oggi son di nuovo qui, in queste terre magnifiche ove amministrai giustizia, è perché intendo rivisitare i luoghi che nella mia esistenza ho chiamato “casa”. Voglio rimembrare il periodo di splendore e il crepuscolo che hanno segnato casate potentissime come noi Gonzaga e i Della Scala, ricordando di quando custodivamo gelosamente i nostri domini... Il concetto di giustizia, fu il sommo valore secondo cui la nostra casata è esistita e secondo il quale son esistito anch'io. Mi trovo nel parco più bello della penisola italica, ai Giardini Sigurtà, dai quali mi sento degno di cominciare il mio viaggio. Essi sorsero nel mio secolo, il '400, quando il patrizio Gerolamo Nicolò Contarini decise d'acquistare quest'intera proprietà che, all'epoca, aveva una funzione puramente agricola. Di fatto si trattava di un “brolo cinto de mura”, ossia un pugno di terre coltivate racchiuse da un'alta muraglia. La storia del brolo continuò fino a quando, un giorno, per conferire lustro alla sua proprietà, il nobile Contarini fece costruire una “Domus Magna” tutta per sé. Questo era lo stile di vita di signori come noi; non ci facevamo mancare proprio niente. L'ho veduto dal parco, il Castello Scaligero che, superbo, torreggia su Valeggio. Esso è il primo vero testimone che incontro, in questo mio cammino indietro nel tempo, che mi parla di trame scaligere. Su di esso aleggia una leggenda densa di mistero e sangue; una storia d'armi che vide protagonista il castellano del maniero, Messer Andriolo da Parma, e le truppe scaligere e carraresi. Agli inizi del '400, un drappello d'armigeri raggiunse il castello ed arrestò Andriolo, con l'infamante accusa d'alto tradimento. Esautorato di tutto i suoi poteri, spezzata la spada, icona dell'autorità, il Da Parma fu legato e, su di un carro, trasportato sulle rive dell'Adige, nel Campo di Marte, a Verona. Incatenato ad un palo, con un colpo di lama venne brutalmente squartato... Da allora, tra queste mura, pare che il suo spirito tormentato, in ogni notte di plenilunio, vaghi tra le torri alla ricerca della sua spada, spezzata e sepolta in un luogo segreto dagli sgherri del Carrarese.

Giungendo a Roverbella, trovo un piccolo gioiello del Rinascimento, il tempo in cui ho vissuto: Villa Gobio. Quel che si può veder di essa oggi è in gran parte un restauro del rococò settecentesco, ma, nonostante ciò, tale dimora mi porta ugualmente a rimembrar antiche storie sulla mia rinomata casata: i Gonzaga. Noi siamo stati una delle famiglie nobiliari più importanti della storia dell'intera penisola; politici, possidenti, mecenati e chi più ne ha più ne metta. Tutti i membri del mio casato si sono imposti con la forza, nel corso dei secoli. Noi fummo ricordati come i “Gonzaga di Mantova” e così verremo ricordati nei secoli venturi. Sarebbe stato sotto il dominio di Luigi Gonzaga che la nostra famiglia si sarebbe radicata a Mantova, garantendo il controllo politico prima sotto forma di capitaniato, poi col marchesato. Furono tempi d'oro, per noi, che io ricordo con fierezza. Ma furono anche tempi davvero pericolosi, poiché si usava assassinarsi di casata in casata, di famiglia in famiglia...

Nel cuore di Roverbella, trovo Villa Benati, altra dimora che mi porta a ricordare l'autorità, la fermezza, il rigore tipici dei patrizi e delle nobili casate che, in un tempo lontano, bramavano il potere. E che dire dei Della Scala, che di quest'area veronese furono i signori indiscussi? Certo, non potrei parlare solo della mia casata; anche gli Scaligeri rimangono degni di nota. Tra il '200 e il '300, il veronese, così come questa valle che circonda il Mincio, era governata dalla potente famiglia Della Scala. Bastò poco tempo perché questi signori diventassero una delle più forti signorie di tutt'Italia, estendo il proprio dominio su gran parte del nord-est. Una grandiosa casata dall'ascesa di vulcanica potenza e dal declino ahimè assai rapido, causato da laceranti faide interne e dalla lenta crescita degli Stati regionali confinanti, come Milano e Venezia. Eppure, quello scaligero rimane uno dei più importanti periodi della storia che il territorio veronese ricordi.

Quanta acqua è passata lungo il Mincio, dall'ultima volta che misi piede a Marmirolo? Proprio qui, riscopro Palazzo Gonzaga, già esistente quand'ero ancora in vita. Come molte altre, anche questa è una delle numerose residenze di campagna appartenute a noi Gonzaga. Questa dimora apparteneva a mio figlio, che era il vescovo di Mantova. Diventò suo otto anni prima della mia morte. La nostra fu una delle più splendide e più longeve famiglie del Rinascimento. I Corradini, originari di Gonzaga, ai primordi, erano grandi proprietari terrieri. Quello che ancora non sapevano, era che, un giorno, nel '300, si sarebbe presentata l'occasione d'impadronirsi del potere a Mantova, quando, stanchi dei soprusi del dispotico Passerino Bonacolsi, ed intuendo che il momento era propizio, realizzarono un vero colpo di stato. Il tentativo fu appoggiato persino dagli Scaligeri, anch'essi bramosi di impossessarvi di Mantova, ma, con l'accortezza di Luigi Gonzaga, questi evitarono qualsiasi espansione. Mantova era nostra.

Oltre un secolo dopo la mia morte, un mio postumo discendente dal nome di Vincenzo Gonzaga, nel cuore del Bosco Fontana, fece sorgere la Palazzina Gonzaga. Proprio attorno a Vincenzo sarebbe ruotata una storia. Fu deciso un matrimonio, per lui, dalla nostra casata e da quella dei De' Medici, con la giovanissima Eleonora De' Medici. Ma per farlo sposare con ella, a Vincenzo occorreva annullare il matrimonio con Margherita Farnese, visto che non avevano ancora avuto alcun figlio assieme. Ecco pronta all'uso una scusa propizia per invalidare la loro unione: Margherita non poteva dare figli a Vincenzo, il quale che doveva trasmettere lo scettro di discendenza. Accadde, purtroppo, che i Farnese accusarono l'uomo di essere impotente... Così, lo sventurato Vincenzo venne sottoposto ad una prova di virilità. No, non una prova di forza o di destrezza e nemmeno un duello, bensì una prova pubblica, innanzi ad una vera e propria commissione, per certificare di non essere affatto impotente. Quell'uomo rimarrà il Gonzaga più umiliato della storia della nostra casata.

Non lontano da Mantova, trovo un romantico bosco-giardino che non ricordo d'aver mai visto mentre ero in vita. Un parco dove le cicogne imperano e dove alti alberi mi osservano da lassù. Guardare il Ginkgo biloba, l'albero più alto della penisola italica, mi porta a rimembrare le gesta d'un grande personaggio scaligero, la cui fama divenne elevatissima tanto quanto l'albero che osservo: Cangrande Della Scala. Forse, più delle sue imprese, rimane più affascinante il mistero della sua morte, avvenuta a soli trentotto anni d'età, tant'è che molti hanno creduto, per secoli, che fosse stato assassinato. Egli fu il mecenate che rese grande le città sotto il dominio scaligero. Seppur io non appartenga alla sua casata, la mia più elevata stima va alla sua mitica persona. Cangrande è stato l'incarnazione dell'archetipo del condottiero e la fioritura culturale, la pace e la prosperità, nel periodo di massimo splendore del governo scaligero, si devono soltanto a lui.

Mentre cammino per queste campagne che circondano il Mincio, scorgo questo lago. Mi avvicino alle sue sponde e devo il mio riflesso. Ah, se solo penso a tutte le vicende che i miei stanchi occhi hanno veduto... Rammento d'esser stato alquanto sensibile all'arte, tant'è che, un bel dì, chiamai il grande Andrea Mantegna e gli commissionai l'affresco della “Camera degli Sposi”. Ma non ero solo amante del bello; con somma onestà, debbo dire che ero anche smodatamente incline ai piaceri della buona tavola, tanto da arrivare a soffrire d'una pericolosa obesità. Dopo vari tentativi di dieta, l'umanista Vittorino da Feltre decise di curarmi, abbinando ad un rigoroso regime alimentare, alcuni accorgimenti, tra i quali anche quello insolito d'ascoltare musica durante i pasti. So che sembra insulso, ma io, rapito dalle melodie, dimenticavo di mangiare. Solo così resi la mia dieta efficace, anche se non per molto... Tutto sommato, non sono mai riuscito a tenere una forma snella; l'abbondanza derivata dal vivere bene ha sempre trionfato su di me ed io non ho saputo resisterle.

Dalle parti di Goito, lungo le rive del Mincio, ritrovo una villa a me inedita: Villa Giraffa, che fu costruita all'alba del '500, per volere di Francesco Conzaga, l'allora marchese di Mantova. All'epoca, costui stava tentando in tutti i modi di conquistare l'Isola della Scala. Una notte, inaspettatamente, Francesco venne catturato nel sonno dalle truppe veneziane, capeggiate dal capitano della Serenissima Lucio Malezzi, e trasportato con la forza a Venezia. Spinta dalla disperazione, sua moglie Isabella D'Este, si affidò a papa Giulio II per ottenerne la liberazione. Quando finalmente ella riuscì nell'intento, si sdebitò con la Chiesa concedendo, agli ordini religiosi, l'utilizzo di questa dimora di campagna. Così, il destino volle che Villa Giraffa venisse tramutata in un convento di Cappuccini.

Quando arrivo al cospetto di Villa Moschini, che avevo fatto costruire con tanto di vasto e rigoglioso parco, penso a quanta brama di potere abbiamo avuto noi signorie... Penso alla decadenza degli Scaligeri, che subirono una profonda crisi interna che li dilaniò, anche se la loro linea di sangue si sarebbe interrotta soltanto verso la fine del '600. Nel Medioevo, Cangrande II Della Scala iniziò a governare col pugno di ferro, accumulando ricchezze a scapito delle città sotto il dominio scaligero, alimentando persino scontri interni. La situazione divenne incontenibile... Quella dinastia vide decenni d'intrighi familiari sfociati in un apocalittico scenario fratricida; nel 1381, ad esempio, Antonio Della Scala fece uccidere suo fratello Bartolomeo, incolpando dell'assassinio le famiglie Malaspina, Nogarola e Bevilacqua, tutte fuggite a Milano. I Visconti, i Carraresi, gli Estensi e anche i Gonzaga fecero guerra a Verona, sconfiggendo ripetutamente gli Scaligeri e scacciando una volta per tutte Antonio dalla città. La sete di potere può indurre un uomo a tentare il tutto per tutto.

A Cerlongo, le mura merlate d'una antica roccaforte sembrano volermi sbarrare la strada. Questo castello esisteva nel secolo in cui ho vissuto e guardandolo ricordo quanto fosse viva la paura d'un attacco diretto alle nostre città da parte dei nostri rivali. Questa era la ragione della nascita delle cinte murarie; la Storia è sempre stata trainata dalla paura e così sempre sarà, ahimè. Ma per quanto si cercasse di difendersi, prima o poi, in un giorno lontano, sarebbe ugualmente giunta l'ora della nostra estinzione. Il che è valso per ogni dominio, regno, impero ed anche per ogni signoria... E qui torna alla mia mente la fine fatta dagli Scaligeri. Non è bastato proteggersi dal mondo esterno; l'anello debole d'una grande potenza, il più delle volte, ha agito proprio nel suo interno, diffondendosi come un morbo. La caduta dei Della Scala la si dovette soprattutto ad intrighi di palazzo che decretarono rovinosamente la decadenza del loro potere. Gli ultimi discendenti precipitarono verso una fine così drammatica che nemmeno un geniale drammaturgo potrebbe mai inscenare...

A Volta Mantovana, vedo il Palazzo Gonzaga Guerrieri, altro emblema del nostro tempo. Doveva essere una villa di campagna, una residenza per l'estate, fra le colline Moreniche e nel clima salubre a meridione del lago di Garda, a ridosso d'una torre e d'un tratto delle mura di difesa del borgo. Ricordo che fui proprio io a commissionarlo, assieme alla mia cara consorte Barbara di Brandeburgo. Erano gli anni finali della mia esistenza ed mi occupavo soprattutto di pubblica assistenza alla città di Mantova, aiutando i cittadini bisognosi. Un giorno, dalle parti di Goito arrivò un'epidemia di peste. Io mi trovavo proprio in quel borgo e mi ammalai gravemente... Non c'era nulla da fare. Nel 1478, lasciai questa terra. Solo dopo la mia morte, non rinvenendo il mio testamento, Barbara dispose la divisione dei territori ai nostri cinque figli maschi, forse per evitare liti tra gli eredi. Quello sarebbe stato lo smembramento dello Stato gonzaghesco, che avrebbe dato origine a molte signorie mantovane. Per me era finita, ma non ancora per i Gonzaga... Non ancora.

Ovunque c'è caos, un uomo ha solo da guadagnarci e questo lo sapevano bene tutte le signorie. Quando guardo il castello della mia casata a Volta Mantovana, non posso evitare di pensare a quanto sangue è stato sparso per conservare il potere... Questo castello sorse prima dell'anno 1000 a protezione delle attività economiche e degli abitanti della zona. Noi Gonzaga lo ristrutturammo più volta, ma solo nel Rinascimento raggiunse la sua definitiva sistemazione. Ostentazione e ricchezza, abbondanza e prosperità; questo fu il nostro stile di vita. Non potevamo concepire l'esistenza in modo diverso e non eravamo nemmeno degli stinchi di santo, noi signori. Tutto questo pareva non finire mai. Eppure, Il ramo della nostra dinastia si sarebbe concluso agli inizi del '700, quando i nostri ultimi territori sarebbe stati consegnati alla dominazione austriaca su un piatto d'argento. Quattrocento anni furono sufficienti alla nostra scomparsa, ma io non vi assistetti.